Dott. Raffaele Schembari
Sono attualmente 415 milioni le persone con diabete nel mondo; la prevalenza di questa condizione sta aumentando e le proiezioni parlano di 640 milioni di diabetici entro il 2040. Questi soggetti hanno un aumentato rischio di patologia cardiovascolare aterosclerotica, di scompenso cardiaco e di patologie renali.
Dato la frequente coesistenza di diabete, patologia cardiovascolare aterosclerotica e scompenso cardiaco è molto importante determinare quali trattamenti siano efficaci, ma allo stesso tempo sicuri in questa popolazione di pazienti.
Lo scompenso cardiaco è molto frequente nei soggetti con diabete, ma non è stato in genere considerato un endpoint primario negli ultimi trial di safety cardiovascolare. IL DECLARE ha per la prima volta utilizzato un SGLT2 inibitore in prevenzione primaria, valutandone gli effetti su questo endpoint.
Dapagliflozin ha dimostrato infatti di agire anche in prevenzione primaria, riducendo gli eventi. Un dato importante del DECLARE è che la popolazione arruolata nello studio era prevalentemente sana (con un filtrato glomerulare medio di 85 ml/mi). Visto l’effetto protettivo riscontrato in questa popolazione ‘sana’, il farmaco si candida dunque ad un utilizzo in fase molto precoce, in prevenzione primaria, nel corso della malattia diabetica.
I risultati di DECLARE sono clinicamente rilevanti per i 3 milioni di pazienti che in Italia sono affetti da diabete di tipo 2 e che hanno un rischio da 2 a 5 volte maggiore di scompenso cardiaco e malattia cardiovascolare rispetto ai soggetti non diabetici. Lo scompenso cardiaco è la prima causa di ospedalizzazione in Italia e dopo 5 anni dalla diagnosi solo la metà dei pazienti con scompenso cardiaco è ancora in vita. Per questo i risultati dello studio DECLARE, ottenuti in una popolazione molto vicina a quella della reale pratica clinica, rivestono un particolare interesse e sottolineano la necessità di andare oltre l’obiettivo del controllo glicemico per un approccio più integrato del diabete e delle sue complicanze cardiache e renali.
Questo mega-trial ha arruolato 17.160 pazienti (155 in Italia), dei quali 10.186 senza patologia aterosclerotica nota, che sono stati seguiti per una mediana di 4,2 anni. Dapagliflozin è risultato non inferiore al placebo per l’endpoint primario di safety. Per quanto riguarda l’endpoint primario di efficacia, dapagliflozin ha determinato un tasso inferiore di mortalità cardiovascolare o di ricoveri per scompenso cardiaco (4,9% contro 5,8%, pari ad una riduzione del 17%). In particolare, i ricoveri per scompenso cardiaco sono risultati ridotti del 27%.
Inattesa per certi versi è stata l’entità dell’effetto di protezione sulla funzionalità renale, un elemento di grande importanza nella popolazione diabetica (il diabete è attualmente la principale causa di insufficienza renale terminale che porta alla dialisi). Anche gli eventi renali sono risultati ridotti nel gruppo trattato con Dapagliflozin; in particolare l’endpoint composito renale (riduzione del 40% dell’eGFR, insufficienza renale terminale, o mortalità cardiovascolare) è risultato ridotto del 24% rispetto al placebo. Considerando solo l’endpoint renale ‘puro’, questo è risultato ridotto del 47%.
Di recente è stato presentato all’EASD di Barcellona 2019, il DAPA HF (Dapagliflozin And Prevention of Adverse-outcomes in Heart Failure), uno di quei trial che possono realmente cambiare la pratica clinica poiché ha dimostrato che il Dapagliflozin, in aggiunta allo standard di cura, ha indotto sia l’incidenza di morte per causa cardiovascolare sia il peggioramento dello scompenso cardiaco in pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta.
DAPA-HF è il primo studio clinico sugli esiti dello scompenso cardiaco nel quale si è utilizzato un inibitore di SGLT2, il Dapagliflozin, in pazienti con ridotta frazione di eiezione (HFrEF), con e senza diabete di tipo 2 (DMT2).
DAPA-HF è uno studio randomizzato e controllato con placebo che ha coinvolto 4.744 pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco di classe NYHA (New York Heart Association) II o superiore antecedente di almeno 2 mesi, con una frazione di eiezione ventricolare documentata ≤ 40% negli ultimi 12 mesi, in terapia ottimale per lo scompenso e con livelli di pro peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) ≥ 600 pg/ml nel 42% dei casi i pazienti erano diabetici al momento dell’arruolamento (45% se si considerano i casi di diabete diagnosticati contestualmente all’arruolamento stesso).
L’analisi dei dati ha evidenziato che Dapagliflozin, in aggiunta allo standard di cura, ha ridotto in modo significativo, del 26% (HR 0,74; P < 0,0001), il rischio di andare incontro a uno degli eventi inseriti nell’endpoint primario (rappresentato dalla combinazione dei decessi per cause cardiovascolari e dei casi di peggioramento dello scompenso cardiaco, definito come un ricovero ospedaliero non previsto o la necessità di una visita urgente con somministrazione di terapia endovenosa) rispetto al placebo.
I dati hanno mostrato un beneficio del trattamento anche per ognuno dei singoli componenti dell’endpoint combinato, con una riduzione significativa, pari al 30% (P < 0,00003), del rischio di peggioramento dello scompenso cardiaco e una riduzione del 18% (P < 0,029) del rischio di decesso per cause cardiovascolari.
Inoltre, l’effetto di dapagliflozin sull’endpoint primario si è dimostrato coerente in tutti i sottogruppi chiave esaminati. Si è osservata anche una riduzione della mortalità cardiovascolare del 18% e della mortalità totale del 17%.
Sul fronte della sicurezza, lo studio DAPA-HF ha confermato il profilo già noto di dapagliflozin. Concludendo possiamo dire che lo studio dimostra che dapagliflozin riduce la mortalità e le ospedalizzazioni, e in più migliora la qualità della vita in pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione ridotta, diabetici e non. Le implicazioni cliniche sono potenzialmente enormi: “pochi farmaci raggiungono questi risultati nello scompenso cardiaco e dapagliflozin lo fa anche in aggiunta a un’eccellente terapia standard.”
I risultati dello studio DAPA-HF rappresentano una svolta epocale nel trattamento dei pazienti che soffrono di questa patologia, con e senza diabete di tipo 2: dapagliflozin diventa, infatti, il primo farmaco di questa nuova classe a dimostrarsi efficace nel migliorare la prognosi e la qualità di vita del paziente.
Inoltre, dapagliflozin è un farmaco “safe”, che non ha particolari effetti collaterali, facilmente utilizzabile e già utilizzato in clinica e questo faciliterà l’utilizzo nei pazienti con scompenso.